«La cosa importante è opporsi alla standardizzazione che identifica come patologia quello che non riconosce. Il resto è una tassonomia, un sistema di classificazioni». Questa la riflessione del filosofo Paul B. Preciado, grande esperto di studi di genere e politiche sessuali, che ha animato la Trilogia sull’identità firmata dalla compagnia The Baby Walk di Liv Ferracchiati. A questa stessa conclusione giunge il progetto di ricerca sulla transizione quale «un percorso mentale verso la costruzione dell’identità di un individuo», che ha già visto le creazioni Peter Pan guarda sotto le gonne e Stabat Mater.
Con Un eschimese in Amazzonia, spettacolo vincitore del premio Scenario 2017, si chiude il cerchio della trilogia. Il titolo trae origine da una citazione dell’attivista e sociologa Porpora Marcasciano, che sottolinea l’incapacità della società di pensare al di fuori del modello binario di sesso / genere, omosessuale / eterosessuale, maschio / femmina.
Protagonista di questo spettacolo è l’incomunicabilità tra la persona transgender (l’Eschimese) e la società «ipnotica, veloce, superficiale, a rischio di spersonalizzazione», rappresentata dal Coro, che, intrappolata nei suoi rigidi schemi, nega all’Eschimese un posto tra le sue fila. Di quegli stessi stereotipi contro i quali si trova a combattere, tuttavia, l’Eschimese scopre di essere schiavo lui stesso in un gioco comico tra autenticità e inautenticità. Il nonsense è, dunque, la chiave di lettura di questo lavoro moderno e dinamico, che innalza il linguaggio basato sull’improvvisazione a «metafora della fragilità di qualsiasi forma scegliamo per noi stessi»
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