“La Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio” ed il suo Palazzo

 

La “Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio”, appellativo completo e corretto del più comune appellativo “Banco di San Giorgio”, rappresenta forse l’istituzione genovese più conosciuta a livello globale.

In breve...

Operativa per quattro secoli, dal 1407 al 1805, essa ha combinato alcune prerogative e funzioni proprie dello stato (debito pubblico, fiscalità, amministrazione territoriale) con l’esercizio di un’attività prettamente finanziaria e bancaria avviata nel 1408; prima del suo genere in Italia ed in Europa. Nel 1451, la Casa prese residenza ufficiale in quello che era stato, fino ad allora, il “Palazzo del Mare”, fatto costruire da Guglielmo Boccanegra nel 1260 quale sede del Capitanato del popolo e colui che diventerà, da quel momento, Palazzo San Giorgio. Definito in più epoche un vero esempio di “Stato nello Stato”, la sapiente ed innovativa amministrazione dell’istituzione hanno fatto sì che essa arrivasse persino ad amministrare territori per conto della stessa Repubblica nel XVI secolo, a stampare cartamoneta, ed amministrare larghe parti dell’impianto portuale dell’allora Repubblica quale il Porto Franco e le dogane. Basando la sua attività principalmente sul genovesissimo meccanismo delle “compere”, la Casa ha continuato ad operare sino al 1797 quando le sue funzioni furono limitate, dalla neonata Repubblica ligure, a quelle prettamente bancarie. Sarà Napoleone che, nel 1805, decreterà la soppressione e la liquidazione dell’istituzione; operazione che terminerà soltanto nel 1865. Ma veniamo al palazzo che ha ospitato questa illustre istituzione genovese e che da secoli ne è il simbolo. Nato inizialmente, nella sua parte medievale, nel 1260 come sede del Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, esso divenne a partire dagli anni seguenti conosciuto come il “Palazzo del Mare”, o “del Comune di Sottoripa” per distinguerlo dall’allora erigendo Palazzo del Comune di S.Lorenzo e colui che diventerà, poi, Palazzo Ducale. Divenuto sede della dogana nel 1340 diventerà la residenza della Casa nel 1451. L’ampliamento rinascimentale, quello che si protende verso il mare addossato alla parte medievale, risale al 1570 e fu decorato in serie da Andrea Semino e Lazzaro Tavarone nel 1606. Passata l’era napoleonica che ne aveva portato le funzioni a magazzino e carcere, il palazzo tornò ad essere sede doganale e di uffici (ne venne persino paventata la demolizione) per essere infine restaurato, a partire dal 1890, da Alfredo D’Andrade e diventare così, nel 1904, sede del Consorzio Autonomo del Porto; oggi Autorità Portuale di Genova. Danneggiato durante la seconda guerra mondiale nella sua parte rinascimentale, nel dopoguerra venne completamente restaurato, con l’ultimo intervento ai dipinti della facciata ad opera di Raimondo Sirotti in occasione delle Colombiadi del 1992.

 

Per i più curiosi:

Il “Banco di San Giorgio”, riduzione dell’appellativo completo e più corretto de “la Casa delle Compere e dei Banchi di San Giorgio” in Genova (1407-1805), può essere semplicisticamente inquadrato come un’associazione dotata di personalità giuridica composta da un gruppo di creditori che, in tempi diversi, avevano prestato denaro allo Stato genovese; prima il Comune e poi la Repubblica. Lo scopo della Casa, come si deduce dal suo stesso nome, poggiava su un’istituzione antica fiore all’occhiello dell’apparato finanziario genovese: la “compera”. Questo termine indica il contratto con cui un gruppo di creditori prestava al governo una certa somma per un dato periodo e, in cambio, otteneva il diritto di riscuotere, sino alla restituzione del mutuo, un’imposta già in vigore o appositamente istituita il cui introito fosse proporzionato al capitale prestato. Qualora lo Stato non avesse rispettato la scadenza stabilita, i mutuanti avrebbero continuato a percepire il tributo sino all’effettiva restituzione. Da notare che, trattandosi di imposte, la somma effettivamente incassata dai creditori variava di anno in anno a seconda delle congiunture socio-economiche. In poche parole l’equivalente delle odierne obbligazioni indicizzate il cui interesse effettivo risulta variabile. In aggiunta, la compera risultava uno strumento di lunga durata, almeno 5 anni e più, era dotata di personalità giuridica indipendente dai creditori stessi ed era gestita direttamente da amministratori eletti a turno (i “Protettori”). Nata ufficialmente nel 1407 con il compito di estinguere il debito pubblico consolidato e gonfiato dalle lunghe e ripetute spedizioni belliche della Repubblica, la Casa mantenne, grazie alle sue importanti prerogative e alla sapiente amministrazione, un ruolo fondamentale nella vita locale, acquistando anche fama crescente sullo scacchiere internazionale. Si istituì dunque, per il risanamento delle finanze dello Stato genovese, una potente associazione di creditori pubblici dotata di piena autonomia di gestione e investita di giurisdizione civile e penale sulle materia di sua competenza. Nel 1451, la Casa prese ufficialmente residenza nel “Palazzo del Mare”, fino ad allora proprietà del governo e colui che diventerà quindi l’odierno “Palazzo San Giorgio”. Da gestore delle entrate pubbliche a sovvenzionatore delle spese statali, la Casa arrivò persino, nel 1454, ad inglobare l’intero debito pubblico genovese attestatosi a circa 8 milioni di lire.

L’attività bancaria, avviata nel 1408, sospesa nel 1444 e ripresa nel 1586, si svolse sino alla cessazione dell’organismo sotto forma di banchi pubblici di deposito e giro, praticanti anche il credito a breve termine a enti pubblici, istituti religiosi e opere pubbliche. Il “Biglietto Cartulario” della Casa di S.Giorgio, abilitata a produrre cartamoneta fu, in un certo senso, l’embrione del biglietto di banca e, in quanto poteva essere girato, il precursore dell’assegno bancario. Ma la Casa svolse anche attività ulteriormente "accessorie" alla sua natura di ente finanziario. Essa subentrò persino alla Repubblica nelle sue colonie oltremarine, oltreché su alcuni distretti del dominio di terraferma, amministrandoli a proprio carico e beneficio e acquisendo la configurazione di un vero e proprio “Stato nello Stato”. Tra i possedimenti che passarono sotto il controllo della Casa vi furono: Famagosta (1447), Caffa e la Corsica (1453), Lerici (1479), Sarzana (1484), Pieve di Teco (1512) e Ventimiglia (1514). L’ordinamento coloniale della Casa fu persino preso a modello dall’Inghilterra per la più celebre Compagnia della Indie.

Tuttavia, l’esperimento di amministrazione coloniale ebbe vita breve per la Casa. Le spese di gestione si rivelarono esorbitanti e ben superiori rispetto agli introiti inducendo così la Casa a restituire tutti i possedimenti allo Stato nel 1562; rinunciando egualmente, a partire da quell’anno, a mutui fondati su garanzie territoriali. A titolo di informazione, il capitale della Casa si attestava a poco meno di 38 milioni di lire genovesi nel 1550 per toccare i 52 milioni nel 1797. L’ordinamento interno si basava su una struttura caratterizzata principalmente dall’elettività e dalla rapida rotazione delle cariche; ordinamento che venne per la prima volta raggruppato e dato alle stampe nel 1568 sotto il titolo di “Leggi delle Compere di S.Giorgio”. L’organo supremo era il Gran Consiglio delle Compere (480 membri), rappresentante l’insieme di tutti i creditori della Casa e convocato dai Protettori per esprimersi su tutti i “negozi ardui ed importanti”. Esso veniva eletto per metà a sorte e per metà a scrutinio segreto tra coloro che possedevano i requisiti richiesti per la candidatura. Gli organi direttivi principali erano rappresentati da sei “Uffici” maggiori tra cui primeggiava l’Ufficio dei Protettori, incaricato dell’autorità suprema su tutto ciò che riguardava le compere e la loro giurisdizione. Essi duravano in carica due anni ed erano assistiti da un consiglio di 52 membri scelti tra i maggiori partecipi delle compere. Gli altri cinque uffici svolgevano compiti complementari ed ugualmente indispensabili alla gestione della Casa. L’Ufficio dei “Precedenti” (così chiamati perchè erano gli ultimi otto protettori usciti di carica) sovraintendeva il Porto Franco e l’amministrazione doganale della città. Completavano poi il quadro l’Ufficio dei “Procuratori”, l’Ufficio del “1444”, l’Ufficio del “Sale” (a gestire tutte le vendite in regime di monopolio) oltreché l’immancabile Ufficio dei “Sindacatori”. A questo spettavano la vigilanza sulla corretta applicazione degli ordinamenti interni, le verifiche dei libri contabili, delle operazioni bancarie e via dicendo. Ai quadri inferiori e agli organi esecutivi erano affidate, stando alla situazione del 1631, circa 770 mansioni retribuite, raggruppate o non, in parte, in singoli individui. In quell’anno, la Casa occupava esattamente 573 unità, con un orario di lavoro che variava dalle 6/7 ore negli uffici centrali alle ⅞ in dogana. L’ultimo grande e notevole servigio reso dalla Casa alla Repubblica di cui si ha testimonianza fu il prestito di 10 milioni di lire effettuato a fronte della minaccia austriaca nel 1746. L’operatività restò immutata, seppur con minime revisioni negli anni 1634, 1698 e 1720, sino al dicembre 1797 (6 mesi dopo la caduta della Repubblica aristocratica; giugno 1797) quando la nuova Repubblica Ligure decise di mettere mano alla secolare istituzione, estinguendo completamente il meccanismo delle compere, “colonna vertebrale” della Casa, e lasciando in vita soltanto la funzione bancaria. Le funzioni unicamente bancarie sotto il nome di “Banco di San Giorgio” proseguiranno sino alla soppressione decretata da Napoleone, a luglio del 1805, che mise in liquidazione l’istituto; processo che durerà sino al 1865 e che non potrà essere arrestato dall’effimero governo repubblicano genovese del 1814. Ma passiamo ora al Palazzo che, da molto tempo, è associato alla memoria di questa storica istituzione genovese. Palazzo San Giorgio, oggi sede dell’autorità portuale trae le sue prime origini dal palazzo che Guglielmo Boccanegra, Capitano del Popolo, aveva fatto costruire come propria sede nel 1260; esattamente sul lido davanti alla duecentesca palazzata di “Sottoripa”.

 

Sopra, il fronte medievale e nucleo originario del palazzo, colui che fu il "Palazzo del Mare" di Guglielmo Boccanegra. 

 

A progettare l’edificio originario fu il frate benedettino Oliverio; già creatore del Molo Vecchio. Questo primo nucleo medievale del palazzo è ancora ben visibile oggi grazie alle sue caratteristiche peculiarità e forme chiaramente distaccate dal resto dell’edificio. A pianta rettangolare, con cortile interno di eguale forma, con porticato a cinque archi nella sola parte a monte e un basamento in pietra nei lati del piano terreno. Le finestre dell’edificio sono quadrifore al primo piano e trifore al secondo con decorazioni di marmo bianco e pietra. Il tetto, di ardesia, è coronato da un attico a merli a coda di rondine. Due aperture sono presenti nel porticato: una più maestosa ornata da un’epigrafe recante notizia della costruzione che immette nel cortile e l’altra, con lo stemma di Genova, che conduce al primo piano. Il porticato del cortile fu ornato dei trofei di guerra della Repubblica: la testa leonina tolta al palazzo veneziano detto del Pantocratore a Costantinopoli, l’epigrafe tolta dal borgo pisani di Lerici (1245) e le catene del porto Pisano, forzato nel 1240, a memoria della distrutta potenza pisana sul mare.

   

 

Sopra, a destra, il fronte a mare di Palazzo San Giorgio nel XVIII Secolo con i ponti Reale e della Mercanzia.

 

Più avanti, nel XIV secolo, il “Palacium Communis Janue de Ripa” passò a sede degli uffici della Dogana. Ma arriviamo al 1407, anno in cui nacque l’illustre Casa di cui sopra. Nel 1451 il palazzo ne diventa la sede ufficiale, con un primo ampliamento a mare, eseguito nel 1508 per le nuove necessità, consistente in un corpo munito di grandiosa loggia sorretta da colonne, oggi inglobate nell’edificio rinascimentale. Ma la sistemazione definitiva, esterna ed interna del palazzo arrivò con i lavori del 1570, con un nuovo ampliamento su palizzata e l’incorporamento degli edifici duecentesco e quattrocentesco nella nuova costruzione. Si creò così un impianto architettonico unitario, dipinto a fresco, all’uso genovese, prima da A.Semino e poi, dopo un rapido deterioramento, da Lazzaro Tavarone nel 1606. Originariamente, a seguito di questo intervento, il palazzo presentava due portali sulla facciata a mare; porte che scomparvero durante il restauro ottocentesco con l’apertura del portale singolo al centro. La facciata a mare fu poi coronata da una finta torretta per l’orologio con soneria, ancora funzionante e dotato di due campane riccamente decorate, la maggiore e la minore. Arrivato inalterato sino all’epoca napoleonica, il palazzo andò poi incontro ad un deplorevole stato d’incuria e abbandono con la trasformazione in carcere e magazzino doganale. Alla metà dell’800, la parte del palazzo corrispondente all’antico nucleo medievale del Boccanegra fu minacciata di demolizione per l’ampliamento della nuova arteria stradale recante il nome di Carlo Alberto. Evitato ciò, ne fu subito deliberato il restauro, avviato nel 1890 ad opera di Alfredo D’Andrade. Vennero ripristinate le facciate medievali e rinascimentali, sistemati gli interni e creato, oltre il nuovo portale aperto in stile genovese, l’imponente scalone marmoreo visibile ancora oggi. Infine, nel 1912, un certo Ludovico Pogliaghi riprese e restaurò unicamente le decorazioni in “trompe l’oeil” della facciata. Danneggiato pesantemente durante la seconda guerra mondiale, il palazzo fu restaurato solo internamente nel dopoguerra, mentre le facciate e le loro decorazioni rivedranno la luce solo nel 1990 con l’intervento di Raimondo Sirotti per le celebrazioni colombiane.

Nel porticato del duecentesco palazzo del Boccanegra si trovano le lapidi che ricordano la fondazione del palazzo, il soggiorno di Marco Polo ed una, del 1532, riguardante le giuste remunerazioni dei ministri della Casa.

Quella che ricorda la fondazione è collocata nell’ogiva della porta, portone originario del palazzo, con sopra la testa di leone proveniente dal palazzo del Pantocratore di Costantinopoli. Il cortile interno è composto da un corpo rettangolare con le decorazioni murali delle logge composte da piastrelle quadrate, bianche, verdi e nere curiosamente identiche a quelle del campanile di Sant’Agostino.

Il tutto è ornato da pitture e fregi con gli stemmi delle famiglie nobili genovesi e dei notabili del banco. Una tra le maggiori opere presenti è la statua della Madonna Regina di Genova scolpita nel 1600 da Bernardo Carlone ed inizialmente posta su l'originaria Porta della Lanterna e qui traslata dopo la seconda guerra mondiale.

Sempre nel loggiato troviamo le “Buche per le lettere orbe”, consistenti in nicchie per imbucare le “lettere orbe” ovvero le segnalazioni anonime riguardanti i disservizi della Casa. Tra i dipinti più notevoli osservabili in questo spazio si può vedere il “San Giorgio appiedato”, derivazione da un esempio di pittura valdostana del castello di Fenis, con due versi del Carducci e realizzato nel corso dei restauri del D’Andrade. Sempre nel corpo originario del palazzo è la “Sala del Capitano del Popolo” a Guglielmo Boccanegra dedicata.

Originariamente divisa in più spazi, quella che vediamo oggi è frutto delle rivisitazioni del D’Andrade effettuate durante i restauri dell’edificio. Anche in questa sala vengono ripresi i motivi policromi della ceramica tipicamente genovesi. Nelle nicchie dipinte (solo una è di vero marmo), sono le statue dei benefattori del banco tra cui membri delle famiglie Spinola, Doria, Grimaldi, De Mari, Vivaldi, Fregoso, Lomellino, Negrone e Di Negro. Completano la sala il soffitto di legno a travetti ricorrenti campiti di rosso e due lampadari in bronzo, copia di un lampadario originario del 1300 oggi conservato nella Chiesa di San Giorgio in Castiglione di Olona. Lasciando il nucleo medievale del palazzo si giunge infine nell’impianto rinascimentale. La Sala dei Protettori ne fa parte e ritrova uno stile architettonico marcatamente differente da quanto visto sino ad ora.

 

Sopra, a destra, il particolare della tela del Paggi sita nella Sala dei Protettori. Si vede in basso a sinistra il fronte rinascimentale del palazzo con i due portali simmetrici originali. 

 

L’opera principale è costituita dal camino, eseguito nel 1554 da Giacomo Della Porta, e raffigurante il mistero del fuoco che include lesene scanalate, parti terminali a forma di zampa di leone e teste leonine. Sopra il camino è la tela di G.B Paggi che rappresenta la Madonna col bambino, San Giorgio e San Giovanni Battista in adorazione. In un angolo a sinistra figura il palazzo nel suo prospetto seicentesco a mare. Completa poi la lunetta di attribuzione ignota, di Fiasella o di Carlone, raffigurante la Madonna col bambino e San Giorgio. E si giunge infine alla Sala delle Compere, anche detta Sala delle Congreghe; spazio grandioso in cui era ospitato il Gran Consiglio della Casa.

Ai tempi dell’operatività erano allineati, lungo il perimetro della Sala, gli scranni del tesoriere generale e dei vari notai incaricati della redazione e custodia dei vari documenti. Le pareti, divise in due livelli di nicchie sovrapposte, ospitano le statue di marmo dei protettori della Casa con, nell’edicola centrale, la statua di Battista Grimaldi. Sopra di essa, la tela di Domenico Piola, raffigurante San Giorgio in adorazione della Madonna Regina di Genova. Finiamo, in ultimo, con lo scalone monumentale e la facciata sul prospetto a mare. Il primo è frutto del restauro tardo ottocentesco del D’Andrade che, come detto, decise di aprire tra le altre cose il portone principale sulla facciata dell’edificio. Per creare questo scalone monumentale vennero sacrificate le originali “sacrestie” della Casa ma soprattutto venne a crearsi un’inversione nell’orientamento funzionale dell’edificio: questo veniva, per la prima volta, a relazionarsi direttamente con il porto e non più con la città. Per la facciata, squisito esempio dell’architettura dipinta genovese, oltre ai due stemmi ed il riquadro centrale rappresentante il Santo è sufficiente nominare le figure su di essa riportate: Cristoforo Colombo, Andrea Doria, Biagio Assereto, Simone Boccanegra, Guglielmo Embriaco ed il Caffaro.

Riccardo Tadei

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