La battaglia via terra: parola ai balestrieri genovesi

Dopo aver approfondito le tecniche di battagli genovesi per mare, scopriamo quali erano le strategie per combattere via terra. Tra l’XI e il XII secolo a Genova si forma un nuovo corpo militare: i balestrieri.

Questi erano già noti tra gli eserciti più prestigiosi del Medio Evo ma fu Genova a poter vantare i più potenti e meglio addestrati fra essi. Data la loro importanza e la loro potenza che permise alla città di trionfare in molte battaglie, oggi a Genova c’è una via dedicata a questi soldati scelti: “Passo dei Balestrieri genovesi”, vicino a corso Monte Grappa.

I balestrieri diventarono in breve tempo un’eccellenza ligure, l’allenamento permise loro di scoprire i segreti e le tecniche della loro arma tipica: la balestra. Questo strumento tornava utile sia nelle battaglie campali, durante gli assedi, sia negli scontri navali. I balestrieri non erano mercenari ma sottostavano alle dipendenze della Repubblica. A questa categoria appartenevano i ceti sociali più vari, molti erano nobili, magari secondo o terzogeniti che non potevano vantare diritti alle eredità della famiglia, e spesso invisi per non seguire il nobile mestiere del cavaliere ma di preferire l’uso della balestra, chiamata “l’arma del demonio”. La balestra era infatti un’arma micidiale, bandita dalla Chiesa per la sua estrema letalità. Con la balestra si riuscivano a penetrare le corazze più dure e se a prendere la mira c’era un genovese il malcapitato non aveva scampo.

I balestrieri genovesi erano temerari, cinici e spavaldi. A garantire sulla loro affidabilità c’era solitamente un garante che, in caso di un loro tradimento, avrebbe pagato pegno anche con la vita stessa. Il successo dei balestrieri genovesi durò circa tre secoli e i loro impieghi variarono a seconda della necessità. Ad esempio, potevano essere impiegati per azioni mirate in piccoli gruppi oppure in schiere più grandi da cento uomini, altre volte venivano impiegati per una “scarica di proiettili” da una nave all’altra. Solitamente vittorie semplici e rapide.

Dalle cronache del Caffaro, nelle pagine dell’opera 1174 – 1224, si legge qualche dettaglio riguardo all’equipaggiamento dei balestrieri genovesi. Balistariis decem cum armis necessariis et balistis de cornu, facendo capire che già nel ‘200 i balestrieri erano dotati della balestra con arco di corno. Altre testimonianze riguardo agli equipaggiamenti le troviamo al Museo Sant’Agostino di Genova, dove sono conservati quelli di Pagano Doria, risalente al 300.

 

Sono numerose le battaglie ricordate nella storia. Nel 1245 i balestrieri genovesi parteciparono, al soldo di Milano, nella battaglia contro Federico II. Fu un successo ma molti di essi - proprio per la loro fama – vennero fatti prigionieri, mutilati di una mano e un occhio. Nonostante ciò proseguirono la loro attività: nel 1270 strapparono Cartagine agli arabi e la consegnarono a Genova; nel 1343 difesero l’emporio genovese di Caffa, in Crimea, dai Tatari, decimando il nemico. Nel 1346 ci fu la débâcle a Crécy in Francia, quando, guidati da Ottone Doria e Carlo Grimaldi, vennero travolti dall’esercito inglese di Edoardo II. Si stima che oltre 2300 balestrieri genovesi persero la vita.

La fama dei balestrieri però non venne scalfita. A Genova molti giovani continuarono ad aspirare a questo mestiere e perciò la città si organizzò per accoglierli. I ragazzi erano sottoposti ad una selezione prima di essere reclutati e in queste occasioni si organizzavano numerose fiere e tornei. Ad esempio, era molto celebre e frequentato un torneo nella zona della Nunziata, che già in epoca romana era un’area di esercitazione militare. In eventi come questo i ragazzi esibivano la propria abilità, dimostrando destrezza e capacità nell’uso dell’arma. La balestra utilizzata in questi casi era quella “a staffa”, dotata di un manico al centro dell’arco con cui tenere ferma l’arma col piede mentre la si caricava. Fabbricata dai genovesi e arma potentissima, poteva sparare piccoli proiettili che andavano a perforare le corazze oppure palle di ferro volte a colpire le teste dei nemici.

 

Francesca Galleano

 

 

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