Il melting pot a Genova arriva fino alle famiglie nobili

Genova è una città portuale e quindi da sempre abituata ad un forte vitalismo culturale. Mosaico di etnie e volti sempre diversi abitano le vie in prossimità del porto. Succede oggi e succedeva anche nel 1100.

Caffaro, nella sua già citata opera Annali, decide di approfondire in modo concreto la figura e l’influenza degli stranieri a Genova. Lo sviluppo commerciale ed espansionistico raggiunto ha portato prosperità e progresso urbanistico nella città. In questi anni infatti si parla proprio di un’altra Zenoa: cioè una rivoluzione vera e propria nel modo di considerare la città. Secondo questo modello Genova è concepita come un centro amministrativo, governato da istituzioni e sistemi di vita urbani ma anche polo economico e centro di attrazione per l’arrivo di nuove persone, modello ibrido e conviviale di liguri e stranieri stabilito da statuti e funzionari.

Mentre Genova conduce le sue spedizioni vittoriose nell’arco del secolo, Caffaro racconta parallelamente anche la contemporanea attività svolta nelle Riviere  e nell’Oltregiogo. Raccontando queste imprese l’annalista sceglie di porre l’attenzione sui vertici decisionale della politica genovese, a cui accedevano molti stranieri. Ovviamente negli Annali ufficiali l’autore sceglie di citare solamente coloro che contavano. La stessa élite che compone le famiglie genovesi è formata da centinaia di membri imparentati con altre élites internazionali. Sono scarsi invece i legami con altre famiglie italiane, a meno che non si tratti di clan dominanti in aree limitrofe, utili ai controlli territoriali nell’area padana, nelle isole o nelle aree legate alla Curia romana.

Le famiglie genovesi mantengono stabili i rapporti internazionali con le famiglie del Regno di Sicilia, di Francia, della Corona portoghese o dell’Impero bizantino. Per mantenere la loro posizione strategica a livello internazionale, i liguri hanno quasi sempre un cardinale nella Curia pontificia. Mantenere il prestigio comporta anche all’élite di mettere a disposizione le proprie case quando giungono in città delegazioni straniere di riguardo, quali ambasciatori, principi e alti prelati. A Genova infatti il palazzo pubblico è considerato semplicemente un elemento decorativo e nient’altro. C’è un’elevata pluralità di incontri che si stanno svolgendo a Genova ultimamente, segno dello sviluppo di un blocco occidentale abbastanza omogeneo e che persegue obiettivi comuni.

Le famiglie si uniscono e il mezzo principale sono i legami matrimoniali. I genovesi sono consapevoli dell’importanza degli stranieri nel loro equilibrio. Infatti nel 1056 gli advenae nomine sono tenuti alla guardia armata contro la “gente pagana”. Esiste testimonianza anche di nuclei ebraici nella città genovese; infatti nel 1134 a segnalarne la presenza è il rabbino Beniamino di Tudela, che indica appunto l’esistenza di due nuclei familiari ebraici.

Nel XII secolo il geografo arabo  Abu Abdallah Muhammad descrive così il popolo genovese: “Genova una delle più grandi città dei Rum e dei Franchi. Si dice che i genovesi discendano da arabi convertiti al cristianesimo. Questa gente non assomiglia ai Rum per fisionomia. I rum sono in genere biondi, questi sono bruni con occhi neri e nasi aquilini. È per questo che si dice che siano di origine araba. Sono mercanti che viaggiano per mare dalla Siria alla Spagna e sono potenti sul mare”.

Sull’influenza islamica si interrogò il Caffaro che dedicò ampie digressioni riguardo la presenza nel vocabolario di numerosi termini di dubbia provenienza. Parole provenienti dal gergo mercantile, da darsena a arsenale, fondaco, casana, raiba (mercato) oppure nomi come: Marabotus (eremita), Taraburlus (tripolino), Bufferius (cavaliere), Saladinus (giustezza della religione) e Ascherius (soldato).

Inoltre Genova non era conforme alle altre città nemmeno dal punto di vista urbanistico. Infatti non ha alcuna delle caratteristiche delle città classiche, è stata definita la più atlantica delle città italiane. Assomiglia molto di più ad una città islamica, perché non c’è una piazza in cui si fronteggia la chiesa e il palazzo pubblico, prevale il fondaco privato e più avanti sorgeranno anche due moschee nella zona portuale.

Vista sulla città da Castello D’Albertis

Simbolo della grandiosa sensibilità per le culture straniere da parte dei genovesi è il Castello d’Albertis, residenza del navigatore Enrico Alberto d’Albertis che raccolse dai suoi viaggi intorno al mondo una serie di souvenir che allestiscono oggi il palazzo. Infatti al suo interno si sviluppa un vero e proprio museo volto a celebrare la cultura e le arti nel mondo. Sinonimo di una città destinata da sempre ad andare oltre l’orizzonte, che non conosce chiusura e ostacolo, ma solo voglia di conoscere.

 

Francesca Galleano

 

 

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