Branca Doria: tra omicidi, leggende e l’antipatia con Dante

Da sempre la figura di Branca Doria porta con sé un grande alone di mistero, arricchito nei secoli da leggende e riferimenti letterari.

Egli fu un esponente importante della famiglia, visse tra la metà ‘200 ed il primo decennio del ‘300, figlio di Nicolò Doria, ricoprì vari incarichi politici anche in Sardegna.  L’isola divenne dominio della famiglia a partire dal 1266.

Branca Doria era una persona spietata, un calcolatore cinico con grandi ambizioni. I suoi obiettivi erano prevalentemente economici e sociali; per questo motivo decise di sposare la nobile Caterina Zanche, figlia di Michele, governatore del Logudoro in Sardegna. Da questo momento la bramosa ascesa del Doria raggiunse l’apice, per usurpare il titolo al suocero, era disposto a tutto. Così organizzò un grande banchetto nella sua tenuta di Nurra, trasformando una grandiosa festa in una notte tragica. Servì il suocero con gentilezza, facendolo mangiare e soprattutto bere e poi, a banchetto concluso, ne ordinò l’uccisione e addirittura lo smembramento del cadavere alla presenza del cugino Barisone Doria. Non è chiaro l’anno preciso dell’omicidio di Zanche: c’è chi lo colloca nel 1275, altri invece nel 1290.

Certo è che il crudele piano di Branca andò in porto e riuscì ad ottenere la carica del suocero senza troppi problemi.

La sua crudeltà era cosa nota e per questo motivo Dante Alighieri lo inserì nel suo Inferno, precisamente nel cerchio IX, immerso nei ghiacci della Tolomea. Qui si trovavano i traditori degli ospiti, e secondo il racconto dantesco la loro anima risiedeva all’Inferno e il loro corpo, ancora in vita, veniva posseduto da un demone. Anche Michele Zanche non venne però esentato dalla punizione del Sommo e quindi, nonostante la morte violenta, il poeta lo collocò nella bolgia dei barattieri, sommersi di pece bollente. Sinonimo che, agli occhi di Dante, anche Zanche non era proprio simbolo di correttezza.

Nella foto: Dalle immagini della Divina Commedia compare Branca Doria.

Tra Dante e Branca Doria ci fu anche un incontro che probabilmente determinò una reciproca antipatia. Ciò avvenne al cospetto dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, in occasione della sua discesa in Italia nel 1310. Tra i due vi era diffidenza anche perché avevano modi differenti di agire in politica. Dante era noto per la sua propaganda, per i suoi scritti impregnanti di ideologie politiche mentre Branca era più restio a questa continua esposizione, preferendo quindi agire nell’ombra e in modo silenzioso.

Si narra che in occasione di quell’incontro tra i due ci furono veri e propri momenti di tensione e che Branca arrivò al punto di schiaffeggiare il fiorentino.

La vita di Branca Doria fu costellata di violenza e crudeltà e fu così fino alla fine perché anche la sua morte avvenne in modo brutale. Catturato a Sassari durante una sommossa, venne assassinato poco dopo.

Da allora c’è una cupa leggenda che aleggia nel centro storico genovese e nella zona di San Matteo. Pare che in alcune notti la sua ombra senza pace si aggiri tra i palazzi di San Matteo, tentando di entrare nella Chiesa e, una volta dentro, poggi le sue mani insanguinate su una colonna che, diventata rossastra, ne indica il passaggio.

 

 

La colonna nella Chiesa di San Matteo Genova (Foto di Paola Spinola)

 

Francesca Galleano

 

Free Joomla! templates by Engine Templates

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner acconsenti all’uso dei cookie.