Palazzo Pantaleo Spinola

Acquistato il lotto dai Padri del Comune nel 1558, il palazzo, il primo di Strada Nuova sul lato a valle, viene edificato dall’architetto Bernardo Spazio e dal maestro Giovanni Pietro Orsolino su commissione di Pantaleo Spinola.

Terminati i lavori nel 1564, la dimora viene inserita già nella prima delle liste dei Rolli, nel 1576, al primo bussolo; passata agli Spinola di Tassarolo già nel 1563 e, poco dopo, ad Andrea Spinola dei signori di Arquata, non subisce variazioni almeno fino alla sua rappresentazione all’interno della prima edizione della raccolta che il fiammingo Pietro Paolo Rubens dedica ai Palazzi Moderni di Genova, pubblicata ad Anversa nel 1622. Differentemente dagli altri palazzi, la dimora di Pantaleo Spinola affaccia su Strada Nuova con un prospetto spoglio, semplicemente intonacato e privo di qualsivoglia decorazione fatta eccezione per il portale, di marmo bianco, sormontato dalle statue della Prudenza e della Vigilanza.
Sarà il francese Martin Pierre Gauthier nel 1818 a testimoniare, con la sua raccolta dedicata a Les plus beaux édifices de la ville de Gênes et de ses environs, le caratteristiche architettoniche e distributive del grande cambiamento strutturale che l’edificio aveva subito nel corso del terzo decennio del XVII secolo, quando venne rinnovato e ampliato in profondità con l’aggiunta di un cortile ottagono. Modifiche che vennero completate, nella seconda metà del Seicento, con la creazione, nel registro superiore della parete di fondo del cortile, di una nicchia in forma di grotta che nella sua decorazione richiama l’incendio di Sparta (anche interpretata come Troia) e che al suo interno ospitava la statua dedicata da Pierre Puget al Ratto di Proserpina (oggi al Museo di Sant’Agostino). Un manufatto da leggersi in stretta connessione visiva e narrativa con il grande e vertiginoso affresco che Domenico Piola (con la collaborazione del quadraturista bolognese Paolo Brozzi) realizza nella volta del salone del piano nobile e dedicato all’Allegoria della Pace. La scultura e l’affresco vengono così a essere rispettivamente l’antefatto e l’epilogo della guerra di Troia e celebrazione del committente, Alessandro Spinola, come portatore di pace e novello Augusto, nel frattempo divenuto il nuovo proprietario del palazzo. Una narrazione inserita all’interno di un ciclo decorativo che vede protagonista, oltre allo stesso Piola (con Augusto e la Sibilla in un salotto del piano nobile), anche Giovanni Battista Carlone con Storie di Coriolano e il Ratto delle Sabine, oltre a Il giudizio di Salomone, Susanna e i vecchioni e La fine di Assalonne, nei salotti al piano terreno.
Una modalità decorativa tutta seicentesca che si affianca, confrontandosi, con il linguaggio cinquecentesco delle opere dei Seminio (Scene di battaglia; Orazio Coclite) e di Orazio e Pantaleo Calvi (Marco Curzio di getta nella voragine; Allegorie delle Quattro Stagioni).
Passato in proprietà dei Giustiniani, dei Cambiaso e poi dei Gambaro nel corso dell’Ottocento, il palazzo nel 1823 diviene proprietà di un Istituto di credito che vi apporta alcune modifiche tra le quali la chiusura del cortile e la decorazione del salone del piano terreno, opera di Antonio Orazio Quinzio che vi raffigura La glorificazione della Nazione, attorniata dalle Arti liberali, alla presenza della Vergine Immacolata e degli Angeli.

(VisitGenoa)

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