Palazzo Nicolosio Lomellino

Edificato tra il 1563 e il 1569 da Nicolosio Lomellino su un lotto di terreno acquistato dai Gentile, il palazzo subì svariati passaggi di proprietà nel corso dei secoli che hanno contribuito a definire gli aspetti architettonici e decorativi odierni:

passato in proprietà nei primi anni del Seicento (1609) a Luigi Centurione e, successivamente, ai Pallavicini a inizio Settecento (1711), venne acquistato dal barone Andrea Podestà nel 1865 dopo un breve periodo in cui era appartenuto alla famiglia Raggi. Venne acquisito infine dalla famiglia Bruzzo, che lo detiene tuttora.
Iscritto fin da subito nel primo bussolo del Rollo del 1576, degno quindi, per la sua ricchezza e magnificenza, di ospitare papi, re e imperatori e rilevato dallo stesso Pietro Paolo Rubens (ed. 1652; IX, Palazzo del sig. Luigi Centurione Marchese di Morsasco) quale modello della residenzialità genovese, il palazzo venne edificato da Bernardino Cantone – primo dei collaboratori di Galeazzo Alessi nel cantiere di costruzione della basilica di Nostra Signora Assunta di Carignano – che lavorò su un progetto di Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco, artista a tutto tondo, architetto, pittore e stuccatore, aggiornato sulle novità romane e già attivo in altri cantieri della strada, tra cui spicca, per originalità ed esuberanza del linguaggio manierista, quello per Tobia Pallavicino.
Il Bergamasco, al servizio di un committente non solo colto e aggiornato ma anche estremamente facoltoso grazie all’ingente fortuna accumulata nella pesca del corallo di Tabarca, definì e progettò spazi e funzioni di un’architettura organizzata su due piani nobili che si apre sulla Strada Nuova con una straordinaria sequenza atrio-androne-cortile e con una facciata interamente decorata a stucco, unica di tutta la via, caratterizzata principalmente da prospetti a fresco dalle figurazioni pittorico-illusive, quasi un grande apparato effimero formato da rilievi antropomorfi, erme, mascheroni alternati a festoni, ghirlande e trionfi forse realizzati dalla raffinata mano dello stuccatore Marcello Sparzo.
Lo stesso tipo di linguaggio manierista, dai decori “all’antica” raffiguranti trionfi militari ed esempi di liberalità, connota anche lo spazio ellittico dell’atrio – decorato sempre dall’urbinate Marcello Sparzo – che, a sua volta inquadra prospetticamente un androne e, infine lo straordinario ninfeo che prelude al grande giardino su più livelli ricavato nel versante della collina del Castelletto.
Un “nodo” architettonico, quello del ninfeo, che si connota come il cuore dell’importante fase di aggiornamento che i Pallavicini organizzarono negli spazi, interni ed esterni, del palazzo e che ne trasformarono l’assetto originario. Fu in questa fase che Domenico Parodi lavorò all’ampliamento del cortile del piano terreno e alla sua connessione con i giardini a monte tramite lo scenografico ninfeo raffigurante il Mito di Fetonte; i giardini stessi furono aggiornati secondo il nuovo gusto e organizzati secondo i dislivelli della collina, vi furono realizzati due ninfei in forma di grotta con figure di Apollo e che scocca la freccia verso il Cinghiale e di Dioniso. Pochi anni dopo, entro il primo quarto del XVIII secolo, furono rinnovati anche gli spazi del secondo piano nobile, prolungati verso il giardino e decorati dagli affreschi di Domenico Parodi (Bacco che regge la corona di Arianna), Lorenzo De Ferrari e Giacomo Antonio Boni (Galleria dei Quattro Elementi e dei Quattro Continenti) in un raffinato rapporto di dialogo tra architettura reale e architettura illusiva, di interscambio interno – esterno, metamorfosi dei materiali di cui sono straordinario esempio i medaglioni a monocromo dipinti dal Parodi, tra i quali spicca quello raffigurante Giove e la Capra Amaltea. Gli stessi spazi furono poi arricchiti da una raffinata collezione inserita nelle quadrature di Tommaso Aldrovandini e comprendente tele dei più importanti artisti del momento, tra le quali si annoverano alcuni lavori di Marcantonio Franceschini dedicati alle Storie di Diana.
Spazi che si affiancano, quindi, a preesistenze di grandissima importanza, come gli affreschi che Luigi Centurione commissionò nel 1623 a Bernardo Strozzi per le sale del primo piano nobile, raffiguranti l’Allegoria dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo e, seppur frammentaria nella sua leggibilità, l’Allegoria della navigazione, soggetti recentemente scoperti sotto volte in canniccio e restaurati nella loro ricchezza cromatica e curiosità di soggetti: indios, uccelli esotici, scene di caccia e di cannibalismo.
Recentemente restaurato in occasione di Genova Capitale Europea della Cultura per l’anno 2004. l’edificio è accessibile negli spazi dell’atrio, del giardino e del ninfeo e nelle sale dei due piani nobili, in cui si organizzano mostre, visite guidate ed eventi culturali.

(VisitGenia)

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